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Libro Primo - Delle Persone e della Famiglia - Titolo VII Della Filiazione
Capi┃I - II
Sezioni (Capo I)I - II - III
Sezioni (Capo II)I - II
§              (Capo II)1 - 2
Articoli┃231 - 232 - 233 - 234 - 235 - 236 - 237 - 238 - 239 - 240 - 241 - 242 - 243 - 244 - 245 - 246 - 247 -                     248 - 249 - 250 - 251 - 252 - 253 - 254 - 255 - 256 - 257 - 258 - 259 - 260 - 261 - 262 - 263 - 264 -                     265 - 266 - 267 - 268 - 269 - 270 - 271 - 272 - 273 - 274 - 275 - 276 - 277 - 278 - 279 - 281 - 282 -                     283 - 284 - 285 - 286 - 287 - 288 - 288 - 289 - 290


Il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio.

Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.

Il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità.

Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, è stato concepito durante il matrimonio.
Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.
In ogni caso il figlio può proporre azione per reclamare lo stato di legittimo.

L'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:
1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;
2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;
3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità. (1)
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.
L'azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.

(1) La Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 1985, n. 134 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non dispone per il caso previsto al n. 3 che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie.

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Cfr. Cassazione Civile, sez. I, sentenza 6 giugno 2008, n. 15088.


La filiazione legittima si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile.
Basta in mancanza di questo titolo il possesso continuo dello stato di figlio legittimo.

Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgono a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.
In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti:
che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere;
che il padre l'abbia trattata come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa;
che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali;
che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia.

Salvo quanto disposto dagli articoli 128, 233, 234, 235 e 239, nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all'atto stesso.
Parimenti non si può contestare la legittimità di colui il quale ha un possesso di stato conforme all'atto di nascita.

Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, ancorché vi sia un atto di nascita conforme al possesso di stato, il figlio può reclamare uno stato diverso, dando la prova della filiazione anche a mezzo di testimoni nei limiti e secondo le regole dell'articolo 241.
Parimenti si può contestare la legittimità del figlio dando anche a mezzo di testimoni, nei limiti e secondo le regole sopra indicati, la prova della supposizione o della sostituzione predette.

La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l'atto di nascita.

Quando mancano l'atto di nascita e il possesso di stato, o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come nato da genitori ignoti, la prova della filiazione può darsi col mezzo di testimoni.
Questa prova non può essere ammessa che quando vi è un principio di prova per iscritto, ovvero quando le presunzioni e gli indizi sono abbastanza gravi da determinare l'ammissione della prova.

Il principio di prova per iscritto risulta dai documenti di famiglia, dai registri e dalle carte private del padre o della madre, dagli atti pubblici e privati provenienti da una delle parti che sono impegnate nella controversia o da altra persona, che, se fosse in vita, avrebbe interesse nella controversia.

La prova contraria può darsi con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non è figlio della donna che egli pretende di avere per madre, oppure che non è figlio del marito della madre, quando risulta provata la maternità.


L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio.
Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia. (1) (2)
L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio, entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.
L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore.
(1) La Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 1985, n. 134 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non dispone per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie.
(2) La Corte costituzionale con sentenza 14 maggio 1999, n. 170 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità nell'ipotesi di impotenza solo di generare contemplata dal numero 2) dell'art. 235 del codice civile decorra per il marito dal giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare e l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità nell'ipotesi di impotenza solo di generare di cui al numero 2) dell'art. 235 del codice civile decorra per la moglie dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito.

Se la parte interessata a promuovere l'azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente, la decorrenza del termine indicato nell'articolo precedente è sospesa, nei suoi confronti sino a che dura lo stato di interdizione. L'azione può tuttavia essere promossa dal tutore.

Se il titolare dell'azione di disconoscimento della paternità muore senza averla promossa, ma prima che ne sia decorso il termine, sono ammessi ad esercitarla in sua vece:
1) nel caso di morte del presunto padre o della madre, i discendenti e gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo;
2) nel caso di morte del figlio, il coniuge o i discendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento.
Se una delle parti è minore o interdetta, l'azione è proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.
Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato, l'azione è proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice.
Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti, l'azione si propone nei confronti delle persone indicate nell'articolo precedente o, in loro mancanza, nei confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice.

L'azione per contestare la legittimità spetta a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse.
L'azione è imprescrittibile.
Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.
Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.

L'azione per reclamare lo stato legittimo spetta al figlio; ma, se egli non l'ha promossa ed è morto in età minore o nei cinque anni dopo aver raggiunto la maggiore età, può essere promossa dai discendenti di lui. Essa deve essere proposta contro entrambi i genitori e, in loro mancanza, contro i loro eredi.
L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.




Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso.
Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i sedici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. Se vi è opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l'intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante.
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età.

I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l'affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui.
Il riconoscimento è autorizzato dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Qualora il figlio naturale di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all'affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale.
L'eventuale inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all'interesse del minore e sia accertato il consenso dell'altro coniuge e dei figli legittimi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell'altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l'altro genitore.
Qualora il figlio naturale sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia legittima è subordinato al consenso dell'altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all'atto del matrimonio o l'altro coniuge conoscesse l'esistenza del figlio naturale.
È altresì richiesto il consenso dell'altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento.

In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato in cui la persona si trova.

Il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell'atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile [o davanti al giudice tutelare] (1) o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.
La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice o la dichiarazione della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo. (1) Parole soppresse dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51.

Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti.

Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato.

È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento.

Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge.
L'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.
Il pubblico ufficiale che le riceve e l'ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 20 a € 82.
Le indicazioni stesse devono essere cancellate.

Il figlio naturale di uno dei coniugi, riconosciuto durante il matrimonio, non può essere introdotto nella casa coniugale se non col consenso dell'altro coniuge, salvo che questi abbia già dato il suo assenso al riconoscimento.] (1) Articolo abrogato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151.

Il genitore che ha riconosciuto il figlio naturale ha rispetto a lui i diritti derivanti dalla patria potestà tranne l'usufrutto legale.
Se il riconoscimento è fatto dai due genitori, congiuntamente o separatamente, i diritti derivanti dalla patria potestà sono esercitati dal padre. In caso di morte del padre, di lontananza o di altro impedimento che renda a lui impossibile l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà, e nel caso di decadenza da tali diritti secondo le norme del titolo IX di questo libro, questi diritti sono esercitati dalla madre.
Se l'interesse del figlio lo esige, il tribunale può attribuire alla madre, invece che al padre, l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà; può altresì limitare l'esercizio di questi diritti, ovvero escludere dall'esercizio di essi, in casi gravi, tutti e due i genitori.

(1) Articolo abrogato dalla 19 maggio 1975, n. 151.

Il riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi.

Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre.
Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre.
Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l'assunzione del cognome del padre.

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Cfr. Cassazione Civile, sez. I, sentenza 17 luglio 2007, n. 15953, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 5 febbraio 2008, n. 2751, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 6 giugno 2008, n. 15087, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 9 gennaio 2009, n. 284, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 27 febbraio 2009, n. 4819, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 28 maggio 2009, n. 12670 e Cassazione Civile, sez. I, sentenza 6 novembre 2009, n. 23635.

Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.
L'impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione.
L'azione è imprescrittibile.

Colui che è stato riconosciuto non può, durante la minore età o lo stato d'interdizione per infermità di mente, impugnare il riconoscimento.
Tuttavia il giudice, con provvedimento in camera di consiglio su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell'altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il sedicesimo anno di età, può dare l'autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale.

Il riconoscimento può essere impugnato per violenza dall'autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata.
Se l'autore del riconoscimento è minore, l'azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell'età maggiore.

Il riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale dal rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione, dall'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca.

Nei casi indicati dagli articoli 265 e 266, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia scaduto il termine, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi.

Quando è impugnato il riconoscimento, il giudice può dare, in pendenza del giudizio, i provvedimenti che ritenga opportuni nell'interesse del figlio.


La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale.

L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale è imprescrittibile riguardo al figlio.
Se il figlio muore prima di avere iniziato l'azione, questa può essere promossa dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte.
L'azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti.

L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità naturale può essere promossa dal figlio entro i due anni dal raggiungimento della maggiore età o, nel caso indicato nel secondo comma dell'articolo 252, dalla data dello scioglimento del matrimonio per effetto della morte del coniuge, se lo scioglimento avviene successivamente al raggiungimento della maggiore età. Se egli muore prima di tale termine, l'azione può essere promossa dai discendenti legittimi di lui.
Nei casi preveduti dal n. 2 dell'articolo 269 l'azione può essere promossa anche dopo la scadenza del termine indicato nel comma precedente, entro i due anni dal giorno in cui è passata in giudicato la sentenza o è stato scoperto il documento contenente la dichiarazione di paternità.
L'azione già promossa dal figlio, se egli muore, non può essere proseguita che dai suoi discendenti legittimi.

(1) Articolo abrogato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151.

La maternità può essere dichiarata giudizialmente anche fuori dei casi previsti dall'articolo 269.
Essa è dimostrata provando l'identità di colui che si pretende essere il figlio e colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume esserne la madre.
L'azione può essere proposta dal figlio e, dopo la morte di lui, dai suoi discendenti legittimi, se egli è morto in età minore o prima di cinque anni dal raggiungimento della maggiore età.
L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

(1) Articolo abrogato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151.

L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità naturale può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall'articolo 316 o dal tutore. Il tutore però deve chiedere l'autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale.
Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di sedici anni.
Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.

L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata.
Sull'ammissibilità il tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, su ricorso di chi intende promuovere l'azione, sentiti il pubblico ministero e le parti e assunte le informazioni del caso. Contro il decreto si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anche essa in camera di consiglio.
L'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta. Al termine della inchiesta gli atti e i documenti della stessa sono depositati in cancelleria ed il cancelliere deve darne avviso alle parti le quali, entro quindici giorni dalla comunicazione di detto avviso, hanno facoltà di esaminarli e di depositare memorie illustrative.
Il tribunale, anche prima di ammettere l'azione, può, se trattasi di minore o di altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 50 del 10 febbraio 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo.

Il tribunale, se dichiara inammissibile l'azione, può condannare l'istante al pagamento di una pena pecuniaria da lire trecento a lire cinquemila.

(1) Articolo abrogato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151.

La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi.
Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.

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Cfr. Cassazione Civile, sez. I, sentenza 3 aprile 2007, n. 8355.

La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento.
Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.

Le indagini sulla paternità o sulla maternità non sono ammesse nei casi in cui, a norma dell'articolo 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.
Possono essere ammesse dal giudice quando vi è stato ratto o violenza carnale nel tempo che corrisponde a quello del concepimento.

In ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione. Il figlio naturale se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti.
L'azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'articolo 274.
L'azione può essere promossa nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la potestà.


La legittimazione attribuisce a colui che è nato fuori del matrimonio la qualità di figlio legittimo.
Essa avviene per susseguente matrimonio dei genitori del figlio naturale o per provvedimento del giudice.

Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti.

La legittimazione dei figli premorti può anche aver luogo in favore dei loro discendenti legittimi e dei loro figli naturali riconosciuti.

I figli legittimati per susseguente matrimonio acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se sono stati riconosciuti da entrambi i genitori nell'atto di matrimonio o anteriormente, oppure dal giorno del riconoscimento se questo è avvenuto dopo il matrimonio.

La legittimazione può essere concessa con provvedimento del giudice soltanto se corrisponde agli interessi del figlio ed inoltre se concorrono le seguenti condizioni:
1) che sia domandata dai genitori stessi o da uno di essi e che il genitore abbia compiuto l'età indicata nel quinto comma dell'articolo 250;
2) che per il genitore vi sia l'impossibilità o un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio;
3) che vi sia l'assenso dell'altro coniuge se il richiedente è unito in matrimonio e non è legalmente separato;
4) che vi sia il consenso del figlio legittimando se ha compiuto gli anni sedici, o dell'altro genitore o del curatore speciale, se il figlio è minore degli anni sedici, salvo che il figlio sia già riconosciuto.
La legittimazione può essere chiesta anche in presenza di figli legittimi o legittimati. In tal caso il presidente del tribunale deve ascoltare i figli legittimi o legittimati, se di età superiore ai sedici anni.

Se uno dei genitori ha espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimare i figli naturali, questi possono, dopo la morte di lui, domandare la legittimazione se sussisteva la condizione prevista nel numero 2) dell'articolo precedente.
In questo caso la domanda deve essere comunicata agli ascendenti, discendenti e coniuge o, in loro mancanza, a due tra i prossimi parenti del genitore entro il quarto grado.

La domanda di legittimazione di un figlio naturale riconosciuto può in caso di morte del genitore essere fatta da uno degli ascendenti legittimi di lui, se il genitore non ha comunque espressa una volontà in contrasto con quella di legittimare.

Nei casi in cui è consentito di celebrare il matrimonio per procura, quando concorrono le condizioni per la legittimazione per susseguente matrimonio la legittimazione dei figli naturali con provvedimento del giudice può essere domandata in base alla procura a contrarre il matrimonio, se questo non poté essere celebrato per la sopravvenuta morte del mandante.
Quando i figli non sono stati riconosciuti, per domandarne la legittimazione è necessario che dalla procura risulti la volontà di riconoscerli o di legittimarli.

La domanda di legittimazione accompagnata dai documenti giustificativi deve essere diretta al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza.
Il tribunale, sentito il pubblico ministero, accerta la sussistenza delle condizioni stabilite negli articoli precedenti e delibera, in camera di consiglio, sulla domanda di legittimazione.
Il pubblico ministero e la parte possono, entro venti giorni dalla comunicazione, proporre reclamo alla corte d'appello. Questa, richiamati gli atti dal tribunale, delibera in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
In ogni caso la sentenza che accoglie la domanda è annotata in calce all'atto di nascita del figlio.

La legittimazione per provvedimento del giudice non impedisce l'azione ordinaria per la contestazione dello stato di figlio legittimato per la mancanza delle condizioni indicate nel numero 1) dell'articolo 284, negli articoli 285, 286 e 287, ferma restando la disposizione dell'articolo 263.
Se manca la condizione indicata nel numero 3) dell'articolo 284 la contestazione può essere promossa soltanto dal coniuge del quale è mancato l'assenso.

La legittimazione per provvedimento del giudice produce gli stessi effetti della legittimazione per susseguente matrimonio, ma soltanto dalla data del provvedimento e nei confronti del genitore riguardo al quale la legittimazione è stata concessa.
Se il provvedimento interviene dopo la morte del genitore, gli effetti risalgono alla data della morte, purché la domanda di legittimazione non sia stata presentata dopo un anno da tale data.